Basta pronunciare il nome di Roberto Baggio per accendere in tantissimi appassionati di calcio quella fiammella dell’emozione che non si è mai spenta per davvero dal giorno del suo ritiro. Il Divin Codino è stato uno di quei giocatori che hanno fatto innamorare tante persone del calcio, grazie alla sua classe innata, nonostante spesso il rapporto con gli allenatori sia stato particolarmente burrascoso. Una classe senza confini, anche se alla fine i trofei che è riuscito a mettere in bacheca probabilmente non sono all’altezza delle sue infinite qualità, oltre a qualche delusione di troppo con la maglia azzurra, di cui una che brucia ancora oggi.
Pasadena, luglio 1994
Una data che rimarrà scolpita nella memoria di tanti tifosi della Nazionale italiana di calcio, ma che sicuramente non potrà più uscire da quella di Roberto Baggio. Il suo rigore nella finale contro il Brasile che finisce alto e il sogno mondiale che svanisce per i colori azzurri. Un penalty maledetto che rimarrà come un macigno nella carriera di Baggio e che, con ogni probabilità, ha condizionato anche il suo percorso in Nazionale, che poi è andato sempre di rincorsa, al punto tale che il Divin Codino ha confessato di sognare ancora oggi quel maledetto rigore. Roberto Baggio ha compiuto cinquant’anni, ma abbiamo tutti ancora negli occhi, chi c’era ovviamente, le sue splendide serpentine ai Mondiali del 1994 e il fantastico gol alla Nigeria, così come le sue ginocchia stremate dall’attività calcistica e dai mille e più colpi proibiti, tagli e infortuni. Non si può di certo far rientrare Roberto Baggio in una categoria fatta e finita di giocatori: è stato uno di quei campioni geniali, ma al tempo stesso molto introversi e silenziosi. Una classe che si notava in campo e che, con ogni probabilità, valeva da sola il prezzo del biglietto.
Incompreso dagli allenatori
Tanto forte e imprevedibile sul campo, quanto insofferente e incompreso dai suoi allenatori. Tra Sacchi, Maldini, Capello, Trapattoni, Vicini e Ulivieri, non ce n’è stato uno con cui non abbia finito per litigare. Tra sostituzioni che non si aspettava minimamente e partite passate a guardare dalla panchina, con aria arrabbiata e mesta. Tutti erano convinti di una cosa: il Divin Codino sarebbe stato in grado di rompere i fragili equilibri di una squadra. Anche la stagione meravigliosa con la maglia del Bologna, in cui segnò la bellezza di 22 gol, il suo massimo storico in carriera in campionato, fu contraddistinta da un’eterna lotta intestina con Ulivieri. Al punto tale che pure la moglie e la suocera di quest’ultimo hanno continuato a chiedergli con una certa insistenza il motivo di tante panchine in un’annata così magica, senza ricevere ovviamente risposta.
I trofei
Una data che rimarrà scolpita nella carriera e nella vita di Roberto Baggio è senz’altro il 28 dicembre 1993, quando ricevette il premio del Pallone d’Oro. Era stato nominato come calciatore più forte sul pianeta anche grazie ad una stagione trionfale, che lo vide portare a casa il FIFA World Player of the Year e l’Onze d’or. Con la maglia della Juventus, invece, il Divin Codino riuscì a mettere le mani sulla Coppa Uefa, mentre in campionato, sempre nel 1993, i suoi 21 gol furono uno più bello dell’altro. Dopo di lui, fra gli italiani solamente Fabio Cannavaro è riuscito a vincere il premio del Pallone d’Oro e poi nessun altro.
La sua carriera parte da Vicenza
Già in giovane età il fantasista di Caldogno finì per vestire la maglia del Vicenza, che non ci pensò molto per arruolarlo per giocare in C1. Nel 1985 venne notato dalla Fiorentina, che lo convinse a crescere in Toscana. Il problema è che poco dopo aver firmato il contratto con la Viola, Baggio fu vittima di uno di quegli infortuni che possono spezzare una carriera, dato che si ruppe crociato anteriore, capsula, menisco e collaterale della gamba destra. Un’operazione che, per poter sistemare tutto, necessitò della bellezza di 220 punti di sutura interni e un ginocchio che lo tormentò per davvero per il resto della sua carriera. Dopo il terribile infortunio si rialzò e iniziò una nuova fase della sua carriera, che lo consacrò in Serie A e che gli permise di ricevere la chiamata della Juventus, in un trasferimento che fa male ai tifosi della Fiesole ancora oggi.
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Finì, così, con una maglietta bianconera nell’epoca in cui ad allenare c’era Trapattoni. Dal 1990 al 1995 visse all’ombra della Mole, segnando 78 gol in 141 presenze. A metà anni Novanta il passaggio al Milan, dove però non raccolse grandi soddisfazioni: di qui l’idea di rilanciarsi in una città di provincia e Bologna venne ritenuta la piazza ideale per riproporsi anche in ottica Nazionale. Mai scelta fu più azzeccata, dal momento che fece una stagione pazzesca, che lo portò dritto dritto ai Mondiali del 1998 in Francia. Poi l’esperienza biennale all’Inter, piuttosto negativa: nel primo anno la situazione societaria era critica, visti i tanti cambi di allenatore, mentre nel secondo, con l’arrivo di Lippi, le panchine di Baggio furono sempre di più, anche se il Divin Codino non mancava di mostrare tutta la sua classe nel momento in cui veniva chiamato in causa.
L’esperienza di Brescia
Dopo lo svincolo ottenuto nell’estate del 2000, ecco che Roberto passa ben quattro stagioni con la maglietta delle Rondinelle, con cui chiuderà la carriera, divenuti indimenticabili per tanti motivi. In quegli anni, i tifosi del Rigamonti potevano dirsi fortunati, dato che calcavano il campo altri campioni del calibro di Pirlo, Di Biagio, Toni e Guardiola. E la speranza di rivedere la compagine lombarda nella massima serie, adesso, è più viva che mai. Infatti il Brescia, grazie anche alla fantastica rimonta contro il Cosenza, oggi è considerata tra le favorite nei pronostici sulla Serie B di Oddschecker per la promozione diretta in Serie A.
Le Rondinelle si trovano in testa alla classifica, nonostante un vantaggio risicato, e ci sono tutte le premesse per poter puntare alla qualificazione diretta. Un risultato che manca da diversi anni e che tutti i tifosi si augurano possa essere veramente prossimo ad avverarsi.